I Crociati non conquistarono Gerusalemme per sport.
Gli stadi sono le cattedrali della religione moderna. Non è il calcio ad essere elevato a religione, sebbene le due condividano alcuni aspetti.
Il simbolo, in primis. Il logo di una squadra la contraddistingue dalle altre per aiutare gli appartenenti a riconoscersi parte di un gruppo. Nel medioevo una croce era un simbolo facile da riconoscere, di sicuro molto più della Dharmachakra buddista o del Khanda Sikh.
L’inno, che va ad aprire la liturgia di scontro, permette ai gruppi di inneggiare il trionfo del proprio credo ai sacerdoti presenti in campo. Sebbene sarebbe interessante aprire una partita di calcio con un Cantus Firmus, ci accontentiamo di questi inni in 4/4 dalla rima facile.
I colori, volti a definire ulteriormente un altro da sé, pronto alla lotta ed alla sfida. E’ risaputo che in guerra i soldati migliori sono quelli che riescono a deumanizzare il proprio equivalente dello schieramento opposto. Ma il primo passo da effettuare è riconoscere il nemico. Lo stesso capita in uno stadio e, nello specifico, nel campo da gioco.
La liturgia di scontro è sempre scandita da tempi ben precisi, dove il balletto tra i contendenti diventa motivo di discussione tra le due tifoserie divise dalla fede calcistica ma unite per raccontare la sfida ancestrale tra homo sapiens e homo neardenthalensis.
Il Fischio d’inizio, che come una meditazione trascendentale concentra le attenzioni delle tifoserie sull’azione in campo.
Ma concentriamoci sulle cattedrali nel deserto: così come le moderne chiese si modernizzano arrivando ad essere sempre più ad essere luoghi dove la concezione del divino possa essere tangibile, così gli stadi vogliono portare il tifoso dentro al campo, riducendo lo spazio tra calciatore e adepto. Il percorso che ha portato la messa dal latino ai preti al di fuori dalle discoteche fa parte di un discorso più ampio, volto a ridurre la distanza tra il sacro e l’umano.
Certo, a volte ha creato anche obrobri tipo questo:
– Sembra una centrale nucleare –
Ma in generale vuole creare dei luoghi armonici, come armonico vuole essere il divino.
Non è, però, l’armonia il punto in comune nel calcio così come nelle religioni, quanto il potere.
La bandiera americana sulla Luna va a raccontare il seguente messaggio: “Abbiamo speso 25,4 miliardi di dollari per arrivare qui, il minimo e farvi vedere che noi ce l’abbiamo fatta e voi no, m*rde”
Bisogna separare i livelli: da un punto di vista popolare la liberazione del Sacro Sepolcro dai musulmani era necessaria per ridare ai cattolici l’idolo da tempo perduto. Per quello che riguarda le elités al potere i crociati non conquistarono Gerusalemme per Sport, ma per ricordare all’Islam chi comandava e per ristabilire una rotta commerciale da tempo perduta. Così come gli scontri tra le tifoserie raramente si elevano al di sopra di un bullismo ingiustificato, così le grandi corporation titolari di grandi squadre si accaparrano soldi sotto forma di diritti televisivi e di sfruttamento dell’immagine.
Lo stadio della Juventus a Torino è una bandiera sulla capitale sabauda.
Cosa accadrebbe nel piantarne una nella capitale partenopea?
Esistono teorie per le quali il contatto tra un simbolo bianconero e il suolo napoletano creerebbe una reazione di annichilimento, ovvero quello che accade tra una particella e un’antiparticella che collidono.
Più probabilmente un po’ di casino, poi il nulla.
Da qui la vera domanda alla base dell’articolo: perché le tifoserie si detestano? Qualcuno mi sa rispondere?
Perché, lo dico con la massima umiltà, dopo anni continuo a non averne la benché minima idea.